Another Scotland is Possible

Trovare un amico, trovare un nemico

Fare le pulci alla campagna post-voto è sempre un pochino più facile, quasi disonesto. Pazienza.

E quindi, questo 45% è tanto o è poco?
Un anno fa si dichiarava pronto a votare SI appena il 30% degli scozzesi. Lo sforzo della YES campaign è stato premiato con un 15% in più – che non è mica male – acquisito in buona parte nell’ultimo mese.
Ma anche si fosse raccolto un 10% in più di voti e – arrivando al 55% – si fosse vinto questo referendum, in che modo si sarebbe potuta ricompattare una società spaccata a metà, con l’obiettivo di prepararsi il più possibile pacificamente alla nascita di una nuova entità statale?

La campagna per il SI ha ricoperto la questione nazionale del mantello della lotta di classe.
Chi ha votato il SI l’ha fatto sopratutto nelle zone più disagiate e per mandare un sonoro vaff* alla classe politica di Westminster.
Se tra i volontari sud-europei ci si beava del fatto che “qua nazionalismo non è una brutta parola“, in realtà lo Scottish National Party, con il suo “nazionalismo civico”, ha finito per sovrapporre l’essere scozzese con l’essere socialdemocratico, omettendo il primo ed esaltando il secondo.

Da una parte è lecito fornire una visione concreta di società e riempire la lotta per l’indipendenza di contenuti politici: crea una narrazione positiva, coinvolge sopratutto i giovani e motiva alla grande chi crede in un cambiamento. Sopratutto aiuta a vincere le elezioni: se non si fossero vinte le elezioni non ci sarebbe stato alcun referendum.
Credere poi che in una Scozia indipendente i rapporti di potere verrebbero totalmente riconfigurati, è un atto di fede che gli Scozzesi si possono permettere per la tutto sommato intatta fiducia nelle loro istituzioni e nei loro politici, ma rimane un atto di fede.
Ed essere socialisti con i soldi che arrivano dal centro (che si può sempre dire non sono mai abbastanza) è diverso da farlo (rimanendo popolari) riscuotendo autonomamente i propri tributi. È un’alchimia che è in crisi persino nei tanto ammirati Paesi scandinavi.

Dividere però il mondo scozzese tra poveri che – li stiamo informando, conoscono la disuguaglianza, voteranno SI – e ricchi – vecchi stronzi con le case belle, avversi al rischio e plagiati dai media – è molto pericoloso quando risulta politicamente e storicamente necessario creare un fronte più ampio.
In qualche modo queste due anime vanno unite, mettendo in piedi una proposta che per forza deve andare oltre i concetti di destra e di sinistra e deve dimostrarsi di appeal per entrambe le parti.

Non è una ricerca semplice.

Anzitutto occorre considerare come chi ha votato SI sia in gran parte chi si sente solo scozzese o prima scozzese e poi britannico (poi però il nazionalismo lo nascondono sotto il tappeto perché fa brutto …).
Chi si sente parimenti scozzese e britannico ha votato NO. Per questi un discorso “Scotland’s future in Scotland’s hand” appare poco sensato: le istituzioni britanniche non sono percepite come qualcosa di alieno alla propria identità.
La creazione di una coscienza nazionale più estesa, in cui la maggioranza si riconosca in primis come scozzese, pare quindi essere fondamentale per sostenere un discorso indipendentista che sia realmente maggioritario e non sia invece, al massimo, un’insperata risicata maggioranza.
Paradossalmente, mentre il SI faceva ogni sforzo per non mostrarsi nazionalista, chi intendeva votare NO esordiva quasi sempre dichiarando di non votarlo perché “io non sono nazionalista”.
Sdoganare la questione identitaria non significa scendere per strada a picchiare gli stranieri, ma accettare che non sempre ciò che muove le persone sia un razionale calcolo economico, ma spesso più delle forme di autocoscienza in gran parte meno razionali, come quel plebiscito quotidiano che chiamiamo nazione e che in sé può benissimo non avere alcun carattere violento.

Per unire il fronte si è poi identificato un nemico comune. Funny thing: i volontari di Yes Scotland mi giuravano che loro non stavano identificando alcun nemico, ma che queste tecniche goebbelsiane le stava utilizzando Better Together. Due attivisti (in momenti diversi) mi han persino mostrato su internet i principi della propaganda nazista per convincermi che mi stavo equivocando, queste cose le fa solo il fronte del NO.
In realtà poi il 75% di loro motiverà la scelta del SI come un voto di protesta contro la politica di Westminster. Una visione in cui il governo UK corrispondeva nella pratica ai Tories, che la propaganda radicale esplicitamente dichiarava di voler far fuori.
Evidentemente questo nemico era comune solo a una parte. Un’altra parte, nonostante tutto, conserva ancora una certa fiducia nelle istituzioni e nei partiti britannici, tanto da credere (nonostante molte evidenze contrarie) nel loro impegno per ulteriori forme di devolution.
È quindi necessario che la fede nella Grande B scenda ancora un pochettino (credo ci sarà modo) e si dimostri come questo nemico sia comune tanto al ricco quanto al povero. Oppure occorrerà trovare un altro nemico trasversale.

Detto ciò, se si fosse trattato di una campagna elettorale “normale” ci sarebbe da togliersi il cappello e applaudire i risultati.
Avrebbe forse giovato arrivare belli preparati su alcuni temi (es. la moneta) o anche solo ammettere che sì, c’erano dei rischi, invece di negare fino alla morte, nel tentativo un po’ disperato di presentare tutto come facile e fattibile.

Purtroppo la divisione nel voto giovani-anziani ha dato adito a un certo vittimismo (un po’ stile PD) in cui si arriva a ribadire che chi vota NO lo fa perché guarda solo la TV e legge giornalacci.
È molto frustrante fare campagna con tutti i media mainstream schierati contro (l’unico giornale pro-indipendenza in tutto il Regno Unito è stato il Sunday Herald) ed è un’idea interessante – ma difficilissima da realizzare – quella lanciata dal National Collective di provare a creare nei prossimi anni nuovi media mainstream (non di protesta né di nicchia) che diano voce alle istanze indipendentiste.
Bisogna però, come sempre, fare attenzione a credersi i migliori, i più informati, i più preparati e, pertanto, quelli che dovrebbero vincere. Guarda caso, più la si pensa così, più, di solito, si perde.

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