E anche queste elezioni…

Un’altra General Election è andata. La Scozia è di nuovo, non sempre a proposito, sulla bocca di tutti grazie all’ottimo risultato ottenuto dallo Scottish National Party, capace di conquistare 48 dei 59 seggi in palio e segnare un +13 rispetto alle elezioni del 2017. I Conservatori si fermano a 6 seggi (-7 rispetto alla scorsa tornata), il Labour a 1 (-6) e i LibDem a 4.

Vediamo come è andata.

La campagna

Messe da parte, almeno per ora, le polemiche interne al partito rispetto a un piano B per un percorso “non legale” verso l’indipendenza (ci torneremo dopo), la campagna si apriva con Nicola Sturgeon festante tra i bambini a Glasgow.

La First Minister è stata ancora una volta il volto elettorale dell’SNP, nonostante non fosse in corsa per alcun seggio. Per funzionare, funziona, anche per abilità e esperienza nel mettersi in saccoccia gli avversari durante i dibattiti (si veda Richard Tice del Brexit Party amabilmente perculato sulla BBC), ma certo in prospettiva può preoccupare il fatto che ci siano pochi altri volti spendibili. 

La campagna verteva su 3 temi in grado di definire in maniera molto netta il nemico politico, o meglio, i nemici politici perché, di fianco Boris Johnson, spuntava spesso il nome di Donald Trump, creando quella situazione un po’ alienante in cui in UK si fa campagna elettorale contro il presidente di un altro Paese, ma tant’è.

Il ruolo di Donald Trump è legato principalmente ad alcune incaute frasi pronunciate dal presidente degli Stati Uniti su futuri accordi commerciali con la Gran Bretagna, che avrebbero incluso delle intese sull’NHS, il servizio sanitario. L’NHS (come saprà chi ha già letto questo blog) è una vera e propria ossessione politica per i partiti UK, con da un lato quelle che potremmo definire le sinistre, fiere oppositrici delle privatizzazioni, e dall’altro i Conservatori e le destre che insomma, alle privatizzazioni direbbero quantomeno “ni”.
In breve, ne è nato un vespaio e Trump ha dovuto dichiarare che l’NHS non lo vorrebbe nemmeno servito su un piatto d’argento. Boris Johnson, per non sbagliarsi, ha evitato di incrociare Trump all’ultimo NATO Summit di Londra e, anzi, si è fatto beccare a “sparlarne” insieme a Trudeau.
Per concludere, la prima dichiarazione del rinnovato premier post elezioni è stata tutta centrata sull’NHS come priorità per il dopo Brexit, con promessa di soldi in arrivo per le casse del servizio sanitario nazionale.

Dove stava l’SNP in questa polemica è facile immaginarlo: difendere l’NHS da Boris e da Donald. Facile legare questo tema al secondo, il grande classico, ormai “Scotland’s future in Scotland’s hands” che a questo giro vedeva le mani “nemiche” non tanto in Londra, ma proprio in Boris Johnson, evidentemente figura molto polarizzante.
Rispuntava così il tema della richiesta di un secondo referendum per l’indipendenza con lettera da recapitare al nuovo premier entro Natale.
Da un lato ci si aspettava il muro contro muro rispetto ai Conservatori, dall’altro si prefigurava che in caso di vittoria di Corbyn si sarebbe scesi a patti con i Laburisti, in uno scambio referendum-appoggio al governo Labour di Westminster.
Corbyn, da parte sua, tanto per cambiare, nicchiava, dichiarando che un secondo referendum sulla Scozia non era una priorità in agenda da portare avanti nei primi 2 anni di mandato e quindi si faceva chiudere in una sorta di morsa dall’SNP, risultando in grado di scontentare sul tema scozzesi e inglesi contemporaneamente.

Ultimo ma non certo ultimo per importanza, era il tema dell’Europa, così stranamente incrociato con quello sull’indipendenza, saltando a pie’ pari tutte le contraddizioni che vedremo alla fine.
L’SNP si proponeva come unico voto utile per i remainers, cercando di erodere il posizionamento di laburisti e LibDem sul tema.


I risultati

Del numero totale di seggi conquistati abbiamo già detto.
L’affluenza è stata del 68,1% (3 punti in meno rispetto al 2015, quasi 2 punti in più rispetto al 2017). L’SNP ha raccolto il 45% dei voti (1242380) salendo di 8 punti rispetto alla volta precedente, ma attestandosi a meno 200mila rispetto a quanto accaduto nel trionfo esagerato del 2015.

I risultati più notevoli sono, in primis, la sconfitta della leader dei LibDem, Jo Swinson, nel suo seggio di East Dunbartonshire a opera di una giovane donna, Amy Callaghan, che la sopravanza per circa 150 voti.
Jo Swinson, partita in maniera piuttosto lanciata in questa campagna elettorale, dichiarandosi addirittura sicura delle sue possibilità di diventare premier, è scivolata su dichiarazioni avventate (ad esempio sull’uso di armi nucleari) e sull’intento di fermare la Brexit semplicemente annullando arbitrariamente l’uscita senza passare da un secondo referendum.
Visto il risultato ha dovuto dimettersi da leader dei liberaldemocratici, lanciando nel suo discorso di addio strali contro il nazionalismo inglese e scozzese.
Dall’altro lato, Nicola Sturgeon gioiva in tv dello scalpo dell’avversaria in maniera non proprio elegante (attenti, perché la ruota gira per tutti).

L’SNP riconquistava anche 7 dei seggi vinti nel 2017 dai Conservatori. Tra questi spiccano Stirling, per il quale è stato richiamato, dopo 15 anni al Parlamento Europeo, Alyn Smith, che quindi lascerà il suo seggio a Strasburgo e Gordon, dove Richard Thomson riscatta il partito dopo la sconfitta del 2017 di Alex Salmond.

I 6 seggi mantenuti dai Conservatori sono concentrati al confine con l’Inghilterra (Dumfries & Galloway, Dumfriesshire e Berwickshire) e nell’Aberdeenshire (Moray, Banff e Buchan, West Aberdeenshire) e sono tutti una conferma del risultato del 2017.

Al Labour rimane solo Edinburgh South (ancora una volta appannaggio di Ian Murray) mentre è persa Glasgow North East che torna all’SNP. Torna all’SNP anche Kirkcaldy e Cowdenbeath, il seggio che fu di Gordon Brown, o meglio, viene assegnato in quota SNP, ma il vincitore Neale Hanvey ha perso l’appoggio del partito durante la campagna a causa di alcuni vecchi post su Soros che gli hanno valso l’accusa di antisemitismo.

Il sondaggio di Lord Ashcroft permette di provare a delineare un profilo dell’elettore del partito nazionale scozzese.
Per il 78% si tratta di un elettore “fedele”, già schieratosi a favore dell’SNP nel 2017. 9% però, sono ex elettori laburisti, 4% nel 2017 votarono Tories, 4% votarono Libdem.
Rispetto alla permanenza nell’UE, il 76% di loro dichiara di aver votato Remain, 19% Leave, mentre il 5% non votò.
Tre anni dopo quel voto, il 16 percento vorrebbe uscire (10% avevano votato Leave, 6% sono Remainers stanchi della situazione che vorrebbero andare fino in fondo). 

Anche se Brexit non fosse sul piatto, l’87% dei votanti SNP dichiara che questo sarebbe comunque stato il suo voto. 10%, invece, quelli che hanno scelto l’SNP solo a causa del tema Brexit.

Gli elettori SNP sembrano quelli che hanno avuto la scelta più facile (decidere chi votare è stato per la maggior parte di loro facile se non facilissimo). I motivi principali alla base della scelta di voto sono il futuro dell’NHS (per il 57%) e fermare la Brexit (43%), seguiti a buona distanza dal tema della povertà e della disuguaglianza (24%).

Alla domanda tra chi sarebbe un miglior Premier, il 51% risponde Corbyn, l’8% Johnson e il 41% non sa (o non ne vuole sapere :)).

Un piccolo flash anche sui verdi scozzesi indipendentisti, che comunque, quatti quatti, passano da 5mila a 28mila voti (non tantissimi, ma 15mila in più del Brexit Party, per dire).


Il futuro

Ogni promessa è debito e quindi entro dicembre, forte del risultato ottenuto, Nicola Sturgeon invierà una lettera a Boris Johnson per provare ad avviare il percorso legale e condiviso verso un nuovo referendum per l’indipendenza.
Il tentativo è quello di ottenere un accordo simile a quello che Salmond siglò con David Cameron e che portò al referendum 2014.
L’Edinburgh Agreement stabilì una deroga alle competenze devolute al Parlamento Scozzese che di per sé non comprenderebbero questioni di natura costituzionale e quindi l’organizzazione di un referendum di questo tipo. 

L’accordo permise di essere tutti d’accordo sulla perfetta legalità della consultazione, togliendo questo tema dal piatto.
Inutile dire che da Boris Johnson è già arrivato un “no no no”.

Davanti al niet inglese, per il quale al momento non si vedono spiragli o margini di trattativa, resta da capire quindi cosa possa fare l’SNP e, più in generale, il movimento indipendentista.
Se per Sturgeon l’unica via è quella del referendum concordato, frange del partito e parte del movimento premono per l’elaborazione di un piano B, con in mente il poco fortunato esempio catalano.
L’SNP, del resto, per ora può solo insistere, ma rischiare così il logoramento di chi non “delivera” prima delle prossime elezioni, oppure inventarsi vie alternative, che alcuni opinionisti individuano in una strada giudiziaria molto impervia o, questo fa più ridere, nella richiesta di aiuto alle istituzioni dell’Unione Europea. 

Con il campo ormai sgombro (almeno per ora, ma sanno stupirci) da un eventuale secondo referendum sulla permanenza nell’UE, l’SNP può spingere ancora di più sul fatto che l’indipendenza sarebbe l’unica strada per rimanere in Europa.
Ma è vero? 
O stiamo parlando di percorsi (indipendenza + rientro in Europa) che potrebbero avere una conclusione, infelice o felice (anche in base a come sarà messa la Scozia con il proprio debito pubblico), solo tra molti anni e con mille difficoltà, sempre che l’Unione Europea rimanga in vita così tanto?

E che fine farebbero i sostenitori del partito indipendentista che nell’UE non ci vorrebbero stare? E se, a Brexit avvenuta (se mai accadrà) la situazione non fosse poi così drammatica come la si era descritta, verranno abbandonate anche le velleità di indipendenza?
Ha davvero senso legare in maniera così forte i due temi o centrare la richiesta di referendum sull’opposizione a Boris Johnson?

Tante domande e, certo, non sempre ciò che ha senso dal punto di vista filosofico funziona dal punto di vista politico e viceversa. La polarizzazione su BoJo e l’Europa è forte, porta voti.
Ne porterà abbastanza da superare lo scoglio del 50% di SI all’indipendenza?
Al momento i sondaggi dicono ancora di no, a meno di un no deal Brexit (ipotesi che parrebbe scongiurata).
Da oggi inizia comunque un nuovo capitolo di questa ingarbugliata vicenda.

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