sterlina

Is it the economy, stupid?

Se ancora mancano 35 giorni al voto (per cui, attenzione), la comunità accademica scozzese già si interroga sul perché il SI uscirà sconfitto dal referendum. Questo – magari prematuro – requiem è stato intonato ieri durante la conferenza di presentazione dei risultati della ricerca Scottish Social Attitudes, condotta annualmente dall’istituto ScotCen.

I risultati dell’indagine condotta tra maggio e luglio – focalizzata sulla campagna referendaria – hanno infatti evidenziato alcuni punti di debolezza della lunga maratona pro-indipendenza.

Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, è utile considerare che dal 2012 (anno in cui l’Edinburgh Agreement ha sancito la possibilità di tenere il referendum) al 2014 il supporto per l’indipendenza è salito di ben 10 punti, passando dal 23% al 33% (una percentuale che farebbe ridere in Catalogna e Veneto). Quello in favore di una devolution più marcata è sceso, passando dal 61% al 50%. Gli unionisti puri e duri, che non accettano l’esistenza di un Parlamento scozzese, sono una minoranza, solo il 7%.

Tuttavia, il 33% raggiunto nel 2014 non è il picco del supporto all’indipendenza negli ultimi 10 anni. Nel 2005 il 35% delle persone si dichiarava a favore di uno stato indipendente e ancora nel 2011 il 32% supportava quest’idea.

Benché quindi ci sia stato un lieve aumento del consenso verso la causa indipendentista, la domanda diretta sul voto mostra ancora come il 33% sia più a favore del SI, il 51% a favore del NO e il 15% ancora totalmente indeciso (escludendo gli indecisi la situazione è 39% SI e 61% NO).

Il SI è riuscito ad aumentare il suo consenso tra coloro che ritengono che l’economia trarrà giovamento dall’indipendenza (l’88%  tra chi pensa che le cose andranno molto meglio voterà SI – rispetto al 73% del 2012; il SI è poi supportato dall’81% delle persone che ritengono che l’economia andrà un po’ meglio, nel 2012 era il 45%).

La campagna del SI è quindi riuscita a convincere che il voto al referendum è un’opzione valida un bacino di elettori che già erano persuasi dei vantaggi economici dell’indipendenza, ma erano ancora indecisi o non così schierati verso un voto favorevole.

Il problema, però, è che quel bacino è diminuito nel tempo:

dal 2012 al 2014 c’è stato un forte aumento di persone che guardano all’economia post-indipendenza con meno ottimismo: nel 2012 il 34% pensavano sarebbe migliorata, ora solo il 25% rimane ottimista; il 34% pensava sarebbe peggiorata, ora lo pensa il 44%.

Dalla ricerca emerge che il 41% si dichiara a favore di un Parlamento scozzese che prenda tutte le decisioni, ma questo indipendentismo “teorico” non si traduce in un voto per il SI.
In questo gruppo “indipendentista”, voteranno SI solo coloro che ritengono che l’economia trarrà vantaggio dall’indipendenza.
Chi ritiene che l’economia andrà un po’ peggio, per quanto si consideri “istituzionalmente” indipendentista, è più restio a votare SI il 18 settembre. Tra questi, coloro che hanno un livello di istruzione alto – nonostante siano a favore di pieni poteri per il Parlamento scozzese – sono maggiormente frenati dal tema economico.

Ma se la prospettiva economica è così importante, è davvero sbagliato che la campagna si concentri sulla questione monetaria?

Certo, si potrebbe obiettare che economy e currency non sono esattamente la stessa cosa.
La percentuale su chi è dubbioso rispetto alla possibilità che una Scozia indipendente riesca a tenere il pound è simile tra i supporter del SI (23%) e del NO (33%). Per cui l’elemento monetario non sembra determinare un rilevante spostamento di voti.
La moneta – il denaro – è però uno dei simboli più concreti di ciò che ci accade dal punto di vista economico.

In questo senso, ha buon gioco il NO ha giocare la carta dell’incertezza monetaria (con tutti i se e i ma su questo tema, che abbiamo già visto qua).
L’incertezza su quale sarà la valuta che si avrà tasca incide sicuramente sulla percezione di quale potrà essere il futuro dell’economia.
Se già non si sa con quale moneta si faranno i conti (e quali saranno le regole e i partner), come si può buttar giù un serio piano economico? (Oltre al fatto che non aver totalmente risolto una questione così importante rischia di rimarcare il pressapochismo di chi vuole traghettare una nazione verso l’indipendenza).
Questo dubbio economico pare più profondo dei giacimenti di petrolio.

Paradossalmente il compito di Salmond sarebbe stato più agevole con un’economia scozzese in crisi: non è così. Anzi, nel 2014, si registra la crescita più marcata del PIL negli ultimi 3 anni (+2,6%) e il record nel numero di occupati.
Difficile dimostrare – sopratutto alla middle class – che le cose potranno andare meglio.

(I dati citati in questo articolo li trovate qua).

 

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