PatronisingBTLady

#PatronisingBTLady e il gender gap (un titolo che non si capisce)

In questa campagna avara di spot elettorali (che tristezza), finalmente arriva l’advertisement che scatena un po’ di polemiche (a breve comunque è previsto anche il lancio di un nuovo spot targato Yes Scotland).

Confezionato da Better Together e intitolato “The woman who made up her mind“, lo spot mostra una donna in cucina che – nei suoi due minuti liberi dalle faccende domestiche (sic) – racconta alla telecamera le difficoltà nel fare la sua scelta sul referendum per l’indipendenza, sul quale è ancora incerta nonostante suo marito continui ogni giorno a chiederle se abbia finalmente preso una decisione (sic).

Lo spot riprende alcuni temi cari alla campagna unionista:

– La questione monetaria (terremo il pound?)

– La diffidenza verso Alex Salmond

– Il tema delle risorse petrolifere, non sufficienti a garantire un futuro prospero alla Scozia

– L’accusa  rivolta al SI di rifiutarsi di rispondere a domande ritenute cruciali (di nuovo la questione monetaria)

L’irreversibilità della scelta (non si può tornare indietro)

– La questione identitaria (chi vota NO non è meno scozzese di chi vota SI)

– La preoccupazione per la sicurezza familiare

– Il timore per le incertezze legate a una scelta vissuta come un salto nel buio

Due minuti e mezzo che hanno scatenato polemiche, sopratutto sui social network e sopratutto – manco a dirlo – tra i sostenitori del SI, che accusano la campagna unionista di trattare le donne con condiscendenza, dipingendole come dedite solo alle faccende domestiche e incapaci di avere una propria opinione politica ben strutturata.

Il target femminile (se di un target così variegato ha senso parlare…) è da mesi al centro della campagna referendaria.
Le ricerche condotte negli ultimi anni hanno mostrato, infatti, come esista un forte gender gap tra i supporter dell’indipendenza. Dall’analisi dello ScotCen emerge, ad esempio, come il 39% degli uomini intervistati sia a favore del SI, mentre tra le donne quest’opzione accoglie solo il 27% dei consensi. Questa differenza è rimasta più o meno immutata negli ultimi 15 anni (non esiste invece nessun gender gap sull’ipotesi devolution, più largamente abbracciata dalla popolazione).
Allo stesso modo – tra gli elettori indecisi sono le donne a farla da padrone (15% delle donne, 5% tra gli uomini).

Una simile discrepanza è presente anche nel sondaggio che la società di Ixè di Roberto Weber ha realizzato nel febbraio 2014 in Veneto: qui il voto a favore dell’indipendenza tra gli uomini raggiungeva il 52%, mentre tra le donne si fermava al 41%.
Il tema ha caratterizzato anche i due referendum in Quebec (1980 e 1995), dove un’ampia maggioranza di donne sembrava schierarsi in favore del NO.

Ma cos’è che spinge le donne a rifiutare l’ipotesi dell’indipendenza? Sull’argomento ha sbattuto la testa per un anno la ricercatrice scozzese Rachel Ormston, senza a dir la verità riuscire a tirar fuori dei grossi risultati.
Il campione di donne da lei analizzato sembra porsi in maniera meno ottimistica rispetto alle conseguenze dell’indipendenza, abbracciare maggiormente l’identità britannica e vedere meno di buon occhio Alex Salmond. Tuttavia queste differenze non sono in grado di determinare un gender gap così ampio.
La correlazione più forte (eppure meno forte di ciò che ci si aspetterebbe) è invece legata alla percezione di incertezza rispetto alle conseguenze che queste donne associano alla scelta indipendentista.

Insomma, in realtà i sociologi brancolano un po’ nel buio sul tema. Non riuscendo a spiegare la causa del gender gap, si è concluso che sia dovuta al fatto che molte donne aspettano l’ultimo momento per prendere una decisione definitiva (da qui lo spot).

Chi però deve muoversi per colmare la differenza non è Better Together, ma dovrebbe essere Yes Scotland (che già in parte ci prova con l’attività della compagine Women for Independence).
Lo spot si rivolge alle donne indecise e in effetti copre alcuni temi che sono alla base di questo tipo di non-decisione (l’incertezza, la paura di una scelta irreversibile ecc.). Su questo target, però, Better Together dovrebbe avere già la vittoria in pugno.
L’unica attività che dovrebbe fare da qui al 18 settembre è non prendersi rischi lanciando messaggi che possano innervosire i votanti. Non commettere errori.

Proprio una militante di Women for Independence – che da poco interrogavo sul tema – mi spiegava come le fosse capitato di sentirsi rispondere da alcune donne che le decisioni politiche in casa le prende il marito (poi ci si lamenta dell’Italia…).
Nello stereotipo presentato dal NO quindi c’è forse un fondo di verità (più di quanta il comitato del SI voglia apertamente ammettere).
Ma se questo spot rinfranca chi ha deciso di votare NO, fa arrabbiare chi ha deciso di votare SI, di indecise ne convince una, ma rischia di innervosirne cento, se non altro a causa delle polemiche scatenatesi dopo la sua messa in onda.
Se scelgo di votare NO è perché aderisco allo stereotipo?

Ovviamente è partito subito il meme su Twitter (con hashtag #PatronisingBTLady) che, sì, mi ha fatto ridere.

Alcuni hanno paragonato lo spot a questo video satirico:

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